[ d e e p P u r . p l e ) The Highway Star

Deep Purple Live at Monster of Rock, Torino 13 giugno 1998

Siamo entrati al Palastampa alle 19.30, in due, con al seguito tre litri di birra e due sandwich formato gita in montagna, ed abbiamo trovato posto in una zona centrale sulle gradinate alte dell'arena Già durante la fortunosa ricerca di un posto auto, tra la moltitudine di vetture contrassegnate dalle targhe di mezza Italia, si distingueva chiaro l'urlo dei decibel che faceva tremare l'asfalto. Sul palco il cranio lucido dell'alieno Joe Satriani era preda immobile dei riflettori, mentre le mani percorrevano a velocità inaudita la tastiera di quel corpo nero che, un po' per la forma singolare e ancor più per il suono prodotto, stentavo a credere si trattasse di una chitarra.
    Intanto, l'apoteosi era ancora li da venire. Si cambia il palco, l'oscurità è calata del tutto anche fuori dalle pareti del Palastampa e i folti gruppi di rockettari raggiungono il sottopalco per assistere in piedi, o salgono a gremire le ultime poltroncine libere sugli spalti, esaurendo tutti i quattordicimila posti a sedere. L'accoglienza è di quelle che si riserva ai Grandi.
    Ore 23.00: il suolo è inondato dalle luci viola; dall'ovazione provenuta dal pubblico in piedi nell'area bassa, si intuisce l'arrivo dei cinque e... Hush apre le danze. Un Gillan dai pantaloni stretti ai testicoli ("sarà per questo che riesce a urlare in quella maniera" diceva bene Jon Lord in un'intervista) canta Bloodsuker e in Pictures at home un Morse grintosissimo raccoglie la sfida dei precedenti virtuosismi di Satriani; a seguire Strange kind of woman e Woman from; tre brani di Abandon: in uno di questi Morse si è destreggiato in un arpeggio che ha letteralmente incendiato la folla. A sorpresa arriva nel bel mezzo del concerto Smoke on the water (stupore soprattutto per l'introduzione solista di Morse): com'era prevedibile è il delirio! E l'enfasi in cui ci hanno scaraventati prosegue con Lazy e Speed King, in cui alternano gli assoli, Glover lo passa a Paice, Morse a Lord, Gillan a Morse.
    E' una danza! Gillan non si risparmia niente, un ragazzo di 54 anni che corre per il palco, grida e strozza con sapienza le ottave, percuote le pelli, suona l'armonica, duetta con Morse e si butta per terra. Ma il gioco musicale più bello avviene fra Lord e Morse, gioco di bravura e di stage act istrionico, teatrale, che coinvolge la folla, sempre più rumorosa, e che coinvolge tutti i cinque: suonano e si divertono come non mai, la sintonia fra i musicisti è palpabile. La festa si interrompe per pochi attimi, e nel bis ripropongono Black Night e Higway Star. E' passata la mezza quando Gillan saluta per l'ultima volta, Glover alza il basso, Lord e Morse si inchinano e Paice lancia le sue preziose bacchette. Anche questa volta la festa è finita. Valeva la pena esserci. Già, mancava Blackmore, è inevitabile pensarlo, provarlo... lo avranno pensato (anche se non provato, ma soltanto immaginato) pure la marea di giovanissimi entusiasti quanto e più dei trentenni come me, dei quarantenni e cinquantenni seduti in fondo, restii a mescolarsi. Nessuno saprà mai restituirci il brivido prodotto dalla sua fender, nessun altro virtuoso le sue scale, nessun divo il suo divismo, il suo carisma: immobile, con gli occhi che si muovono veloci come le dita, o scatenato contro gli amplificatori o le telecamere. Ma sono contento di questi Deep Purple, quelli voluti da uno straordinario e meritevole Gillan: è lui il padrone indiscusso di casa, ma il collante è proprio Morse, la sua chitarra un'orchestra e il suo feeling si sposa con tutti, sino a trasformare il compassato Glover in un atletico e divertito menestrello. Insomma, ancora una volta l'appuntamento con i profondo viola è stato un evento che non si poteva perdere.
    Lascio defluire la massa, accartoccio quello che resta del mio litro e mezzo di birra, avvicino il palmo delle mani alle orecchie... e sento un fischio come quello delle locomotive a vapore. Prima di uscire mi avvicina un uomo, in apparenza poco più giovane di me, mi dice "io un concerto così non lo avevo mai visto", e si allontana da solo, senza neanche attendere una mia replica.
    Già, anche io ne ho visti di concerti rock... dai Jethro Tull ai Santana, da Peter Frampton a Lou Reed, dai Colosseum di Gary Moore a Steve Winwood, dagli eroi casalinghi (PFM, Banco, Area, etc) ai grandi show di Pink Floyd e Rolling Stones, ho rincorso i Rainbow a Grenobble e - soprattutto - ho visto i Deep Purple tre volte. Il rimpianto più grande è non averli veduti anche con Coverdale e Hughes.
    Guardo quell'uomo andarsene, di spalle, e torno a casa custodendo il significato delle sue parole.

Giulio Migotti


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