| |
Una grande emozione non ha prezzo
Una grande emozione non ha prezzo. Così non ho esitato un solo attimo ad interrompere la vacanze in Sardegna per correre a Genova per vedere i mitici Deep Purple. Indimenticabile, dicevo. Perché siamo arrivati con un volo da Olbia alle 15 e tre ore più tardi eravamo già lì. Per quanto mi riguarda in condizioni pazzesche. Già, in Sardegna mi ero pure procurato una microfrattura ad un piede. Nessun medico mi aveva fino ad allora visitato (la diagnosi è stata effettuata solo dopo il trittico dei concerti dei fabolous four+one). Non potevo certo permettermi un gambaletto di gesso, chi avrebbe poi saltato durante il concerto? Arriviamo al palasport, sede del concerto. E qui troviamo la grande, grandissima sorpresa: Roger Glover, come promesso via e-mail a Carlo Alberto, ci ha riservato quattro, diconsi quattro biglietti omaggio. Per me, mio figlio che è cresciuto non con le ninna-nanna bensì con "Highway Star", Carlo Alberto e Giulio il gestore del Fan Club Italiano. Magico Roger: non solo ci ha permesso di assistere gratis al concerto (non era mai accaduto nella nostra vita di essere invitati dalla band), ma abbiamo anche ottenuto quattro pass per l’ “after-show”. Ci siamo dunque. Sono le 21.30 di martedì 28 agosto. Tutto è pronto per lo show. Ma c’è qualcosa che non mi convince, anzi non mi piace proprio. La coreografia questa volta lascia molto a desiderare. C’è un tentativo di tendone con disegnato un sole bruttissimo. Non mi piace, ma poco importa. Mi va bene comunque, perché oltre il sole c’è il mito. Si parte con “Woman From Tokyo”, il mio magico e superbo Gillan non mi sembra nel suo massimo splendore, ma comunque va sempre bene; molto buono Glover. Si continua con “Ted The mechanic”, finalmente Ian si riprende, e alla grande, assurgendo al ruolo inimitabile di istrione come il più grande front-man della storia del rock. “Mary Long”: finalmente riscopro una musica porpora al livello che voglio io! Ricordo che questo pezzo l’avevo sentito qualcosa come 28 anni fa sempre a Genova. Allora il pezzo non era ancora uscito su Lp, oggi ritornano le stesse emozioni, le identiche sensazioni, la voglia di urlare e gridare. Sono passati 28 anni, ma è come se fosse ancora ieri… Ormai siamo nel pieno del concerto. Don Airey, che ha sostituito per questo tour l’inossidabile Jon Lord, finalmente inizia a prendere la scena (fino a poco prima era stato oscurato da un mixaggio orripilante), anche se Lord resta sempre inimitabile. Parte la storia e la leggenda: Lazy. E qui Gillan rispolvera la sua armonica da brivido. Mentre scrivo queste poche righe, credetemi, sto riprovando le stesse sensazioni provate quella sera sentendo Ian. Un brivido unico. Con Lazy riconosco i Deep Purple. E’ come quando lo starter alza la bandiera e i migliori scattano e vanno in fuga. Loro sono i migliori. “No One Came” e “Fools” sono un qualcosa che diventa anche difficile descrivere, trovare l’aggettivo per dire e rendere la bellezza, la straordinarietà, il sentimento che si cela dietro a quelle note magicamente fuse e potenti. Senza ombra di dubbio i due pezzi migliori della serata. Airey si produce in un assolo di organo. L’intro per “Perfect Strangers”. E’ il boato. Ci alziamo in piedi (io lo ero già da prima nonostante un male of the madonns al piede), siamo in 6 mila a scatenarci. Gillan ha ripreso in mano il comando e domina la scena. E decide anche di fare “When A Blind Man Cries”. Il giudizio? Assolutamente eccellente, anche se io non sono mai stato innamoratissimo di questo pezzo. La scena passa a Steve Morse. Per introdurre "Smoke", come da tre anni a questa parte, inizia “interpretando” a modo suo una serie di pezzi di altre band (band che, per quanto mi riguarda, non sono degne di nota, “chi non salta un Led Zeppelin è!!”. E Steve dovrebbe capirlo!). Poi la folgorazione per il pubblico: tutti in delirio per Smoke. Come al solito Gillan riesce a smettere di cantare per farsi sostituire dalla gente. E come sempre ci riesce, in modo perfetto. Il concerto si chiude con “Speed King”. E soprattutto con la sua classica risata allucinante. Io penso sempre, questa volta non la fa, la risata. E lui, regolarmente, mi sconfessa per la gioia di mio figlio che gode come una foca monaca. A gran voce, sulle note di “Black Night” cantata dal pubblico, vengono richiamati sul palco. E con “Black Night” si continua, cantata da loro questa volta. Ma Ian è un maestro, Lui vuole la gente tutta al suo fianco e così in 6 mila torniamo a fare le voci dei Deep Purple. Gillan presenta ora “Hush”, sembra una sua creatura, ma guarda caso si tratta di un brano scritto quando Ian non faceva ancora parte della band. E’ stato, questo, il primo pezzo dei Deep Purple, parole di Gillan, 33 anni fa. Siamo ormai alla fine, parte quella che è sempre stata la “ninna-nanna” di mio figlio, “Highway Star”. E lui, il piccolo che ora pesa 80 chili, mi salta di nuovo in braccio. Delirio totale. I Deep salutano, il concerto è finito. Ci guardiamo negli occhi, la sensazione è quella di una performance decorosa ma non eccelsa, anche e soprattutto a causa di un’acustica disastrosa e un mixaggio pessimo. Delusione finale: i Deep scappano e non fanno l’after-show e noi restiamo lì, come quattro cocomeri, con il nostro pass che non ci fa passare. Carlo Alberto è imbufalito, il Chicco delusissimo, Giulio tristissimo e io sono in preda alle convulsioni per il mio dolore al piede. Ci vediamo a Riolo, l’ortopedico può ancora attendere.
[ reviews | the highway star ] | |